UN ARTISTA ALLA RICERCA DELL’AUTENTICITA’ DELL’UOMO: GIORGIO CANGIANO

 

L’arte di Giorgio Cangiano si può paragonare as una profonda, sofferta, partecipata “discesa agli inferi” della condizione umana.

L’Uomo nella sua condizione esistenziale costituisce il centro della riflessione artistica del Cangiano.

Tutta la creatività dell’artista e la stessa impostazione tecnica delle opere convergono verso l’uomo quale punto Omega di un doloroso sforzo di compenetrazione con la problematicità dell’esistenza.

A questo punto si potrebbe essere tentati di architettare l’autore come “esistenzialista”. In realtà , la riflessione di Giorgio Cangiano sull’uomo abbraccia l’integralità della persona umana, vista non solo nelle pieghe, pur le più riposte, dell’io individuale, ma anche nei rapporti con gli altri e con una società troppo spesso opprimente, condizionante e, a volte, annichilente.

Ed è proprio su questo fondamento che si innesta ed esplode, con una grande carica morale, la descrizione-riflessione-partecipazione dell’autore: ora con drammaticità, ora con ironia, ora con una vera e propria vis comica.

Ma, accanto alla riflessione partecipe sulla condizione umana, venata da un sostanziale pessimismo anche nei momenti in cui l’ironia dell’autore invita al sorriso, è presente una sfida all’osservatore e, in special modo, agli intellettuali, ai chierici del nostro tempo, per la creazione di una condizione umana diversa e migliore.

Il pessimismo della ragione, scaturante dall’osservazione disincantata della realtà, diventa ottimismo della volontà, sfida e coinvolgimento diretto del e per l’osservatore. La dolente poesia della descrizione pittorica si fa ponesi e prassi per una proposta di azione. La riflessione teorico-artistica, meravigliosamente espressa con tecniche e scelte cromatiche molto appropriate, diventa affrontement ed engagement dell’uomo e della sua realtà.

L’osservatore si trova coinvolto e quasi  costretto a riflettere e a scegliere, viene provocato ad uscire dalla neutralità, dalla mediocrità e, in ultima analisi, dalla viltà di una valutazione puramente estetizzante per elevarsi su un piano di impegno etico.

La provocazione del Cangiano avviene attraverso l’uso di simboli-chiave che costituiscono il fil-rouge di un discorso pittorico che abbraccia una sequenza di opere. Il teit-motiv è costruito ora sul binomio filo spinato-pipistrello, ora dal monaco figura dell’intellettuale (clericus) – osservatore.

Nella serie del filo spinato, per esempio, è denunciata la condizione di oppressione in cui l’uomo è costretto a vivere; oppressione sociale, ma anche culturale in cui  l’uomo oscilla tra il sonno e il delirio della ragione, che comunque generano mostri e rendono l’uomo stesso irriconoscibilie e deforme.

Nella serie del monaco questa denuncia si estende al tradimento dei chierici-intelletuali  e dello stesso osservatore dell’opera.

Troppo spesso gli intellettuali si sono crogiolati in una miope estasi dell’esistente senza proiettarsi oltre.

Così anche l’osservatore è chiamato dal Cangiano a porsi oltre la mera contemplazione estetica dell’opera per confrontarsi e farsi coinvolgere in una presa di posizione di fronte a ciò che essa rappresenta e alla stessa realtà nella quale viviamo.

Sapremo noi raccogliere la sfida?

Sapremo proiettarci nell’opera e oltre l’opera , nelle cose e oltre le cose, in noi stessi e oltre noi stessi?

Auguriamocelo, non solo per godere pienamente dell’opera di Giorgio Cangiano, ma anche per migliorare noi stessi e la realtà che ci circonda.

Francesco Accardo