La Voce Vesuviana

Ottobre – Novembre – Dicembre 1997

IL PROFESSORE GIORGIO CANGIANO

UN ARTISTA DI CASA NOSTRA CHE FA

ONORE ALLA CULTURA ITALIANA

 

 

Ercolano – Con queste due domande intendiamo tracciare un profilo del nostro Giorgio Cangiano, Artista e Docente apprezzato, percorrendo i luoghi intricati della sua vita.

Vocazione artistica, creatività, tecnicismo, studi canonici, assimilazioni e attraversamenti delle più rappresentative correnti della visualità contemporanea, il centro d'arte e cultura "Marco De Gregorio" – Nuova Scuola di Resina, voluto, e rappresentativamente guidato, con puntuali proposte, l'impegno per la sua città, hanno motivato il successo di critica e di pubblico che ha saputo meritare in oltre cinque lustri di ininterrotta attività. Ce ne indichi i percorsi, ci parla delle sue scelte attuali e delle esperienze maturate specialmente in Emilia e in Lombardia dove svolge il suo lavoro di artista e di docente.

"Una domanda che impegna a ripercorrere tutta la mia vita, le mie esperienze infantili che evidenziavano la predilezione per il segno, il colore, la voglia di "rappresentare", di vedere e far vedere quello che non riuscivo a dire con le parole: il disegno ha significato per me la prima risposta alle meraviglie che intuivo e scoprivo ed anche un modo per enunciare i miei interrogativi. Gli studi regolari e l'amore per Ercolano, che in effetti è veramente la mia città, perché in essa ho cominciato a muovere realmente i miei passi, hanno determinato un amore irrinunciabile per la magia archeologica: apprendevo i segreti del mestiere e meglio rendevo quello che la parte più rappresentativa della città, storia e memoria, natura e secoli di splendore, vi avevano accumulato.

L'Istituto e l'impatto occasionale con pittori amanti dell'impressione e della veduta, diedero ai miei primi lavori un'impronta per così dire naturalistica, poi l'insegnamento di Renato Barisani, la conoscenza della Storia dell'Arte, fecero in modo che potessi affrontare le problematiche della rappresentazione che è ben altra cosa dall'adesione al soggetto così come appare.

All'Accademia ho ritrovato Barisani, ma avevo anche oltre alla geometria e ricerca il severo impianto disegnativo di Armando De Stefano, l'essenzialità simbolica delle incisioni di Bruno Starita, lo stimolo a cogliere i segreti del terzo occhio nella fotografia di Mimmo Iodice.

Diciamo pure, non ho mai rinunciato al mio istinto, ma ho assimilato dalla lezione dei grandi maestri e da quella al cui esempio direttamente mi sono formato, una specie di habitus culturale nel quale ho fatto confluire le mie esigenze, seminandole, per così dire, in un fertile terreno dal quale poi sono germinate le mie produzioni. In piena umiltà non saprei definire la "portata" in senso artistico, ma mi conforta qualche giudizio autorevole che mi ha dato anche la possibilità di leggere meglio dentro di me, e capire anche il mio atteggiamento giovanile con quel misto di timidezza e ribellione insieme, che hanno determinato un impegno seriamente avvertito a difesa delle testimonianze artistiche, dei beni culturali, della archeologia, della vera storia di Ercolano, tutta vesuviana tra il Vulcano e il mare e così complessa nei suoi rapporti sociali. Per quanto riguarda le mie scelte visive e l'individuazione dei loro percorsi preferisco far parlare Angelo Calabrese e proporre, come risposta, la sua lettura critica citando un brano da uno scritto che mi ha dedicato:

"Forse è l'ampiezza dello scenario vesuviano che Giorgio Cangiano ha sempre tenuto di fronte ed è per lui tanto familiare e domestico da ritrovarne costantemente i profili, o è forse l'assidua frequentazione degli Scavi dove ha appreso la meraviglia della scoperta e il gioco allegorico nelle grandi narrazioni affrescate, a fargli preferire opere di vaste dimensioni. Forse è anche quel suo istinto che gli impone l'etica della socialità a dare un senso e sostanza ai suoi murales che si distingue da quelli connotati dalla denuncia generalizzata per il senso classico-metafisico-simbolico che li pervade. Giorgio Cangiano si trova a suo agio quando può narrare visivamente e stabilire nell'opera in cui è sempre attore spettatore quelle che sono le emergenze oggettive e simboliche di una condizione esistenziale.

Oseremo dire che i disegni e le piccole dimensioni non sono che studi per un progetto più vasto dove infatti si ritrovano elementi ricorrenti in quegli appunti che egli ha disseminato sia quando nei primi anni '70 interpretava volumetrie geometrizzanti e scansioni spaziali, sia quando una più matura essenzializzazione gli ha dato la possibilità di dipingere in fase simbolica-contemplativa. Non è che si sia sottratto agli allettamenti di rapide soluzioni, ma sempre ha finito per prevalere gli elementi che sfuggono all'occhio comune. Ercolano è sinonimo di reperto. Il Vesuvio rappresenta la massima modificazione, la precarietà che ripropone il primordio, le Ville vesuviane significano lo splendore della ragione, i culti religiosi, quelli presenti e quelli di memoria pagana, spesso commisti nella ritualità popolare che mai rinuncia alle radici e alla storia, sono eloquente pietas che scongiura il rischio sismico. Come meravigliarsi allora del teschio , della pietra, del rudere esposti tra mare e cielo in eloquente solitudine? Le motivazioni psicologiche e quelle razionali hanno evidenti scarti quando Cangiano narra se steso come condizione umana: il prigione nudo ingabbiato che non può ne andare ne agire, i pipistrelli, il filo spinato sono evidenze di un modo di essere che l'artista denuncia sollecitando ad amare la natura, a rispettarla, a garantire vitalità al al patrimonio ambientale perché possa vivere la memoria e non disperdersi. Anche il suo lavoro di istinto iperrealista che ingigantisce in dimensioni murarie quelle di un francobollo reale commemorativo delle Ville vesuviane diventa metafisicità simbolica allusiva al degrado contemplato dall'omino incappucciato che difende la memoria. Il titolo appropriato mi sembra "MAIL ART... MA IL DEGRADO".

Alle grandi dimensioni Cangiano torna con il recupero degli affreschi ridotti ad ombre appena emergenti dell'Ospedale Fatebenefratelli di Benevento e sempre tenendo come promemoria e particolari di pitture di più vasto respiro disegni e dipinti elaborati seconda dell'ispirazione, eccolo ad affrescare Villa Suarino. Negli spazi architettonici scompartiti egli ha fatto convergere la natura che si rigenera, la memoria storica, i reperti immaginati nella loro funzionalità quotidiana.

Ha messo insieme memoria illuministica e ricostruzioni ideali d'età romana, rivitalizzando il tutto tra il consueto mare sempre mutabile e il consueto cielo mutabilissimo, non dimenticando i gerani fioriti, la tazza del caffè, l'ultimo arrivato in famiglia, il sonno di Ercole, la gazza ladra, l'erma che non si sveglia al canto del gallo, la mitologia referenziale e le eterne balaustre dalle quali continua ad affacciarsi come spettatore, fingendosi intanto protagonista dei luoghi della sua storia inventata, delle stagioni rigogliose che Ercolano ebbe, e alle quali ha continuato a rinunciare per ignoranza, per incuria e soprattutto per disamore. Sono certo che l'istinto pittorico non allontanerà mai Cangiano dall'opera che ha in sé il sogno e il "contenuto", vale a dire la pregnanza del messaggio. Il colore vivo affrescato è il segnale della sua speranza. Del resto la sua partenza naturalistica gli ah consentito l'allegoria e la metafora che si estendono dalle sue allusioni simboliche".

Ecco cosa dice Calabrese del mio simbolismo allegorico. In esso io sono sincero ho visto che è stato apprezzato sia in Emilia Romagna che in Lombardia dove sono venuto a contatto con una realtà meno frettolosa, forse meno vivace nello spirito aggregativo che caratterizza il nostro entusiasmo facile anche a raffreddarsi, ma più severa nelle valutazioni e abituata a progettare e a realizzare. Ho incontrato artisti di forte levatura che mi hanno subito dato la loro amicizia, organizzandomi delle mostre e dando credito a tanti progetti didattici che testimoniano il mio impegno nel sociale. Ho continuato dunque a fare quello che mi proponevo di realizzare per Ercolano con il Centro "Marco De Gregorio" nel quale volevo aggregare le spinte culturali ed artistiche della Città.

Quali i ricordi più cari, i momenti esaltanti, l'impatto con le inevitabili crisi e delusioni, nella sua città e fuori di essa?

Quali i progetti d'arte alla cui realizzazione si sta dedicando?

Alla seconda domanda rispondo riprendendo le conclusioni della prima.

Ad Ercolano ho dedicato il mio impegno, ho difeso e continuo a farlo la Chiesina del Salvatore al Vesuvio e, li mi sono sposato per un atto di fede e di speranza.

C'è una mia pubblicazione che attesta il dramma di un'opera d'arte oggetto di scempio e di saccheggio.

Mi sono interessato della Cappella De Bisogno; ho realizzato varie mostre tra le quali voglio ricordare "La signora degli anelli" in Villa Campolieto, ma le grandi difficoltà le ho trovate proprio laddove risultava vano non solo il tentativo di aggregazione, ma anche era evidente una specie di gioco opportunistico, che mirava alla pubblicità del momento e faceva anche promesse mai mantenute da parte degli artisti e da parte delle autorità.

I ricordi più cari? I miei affetti che poi sostanziano il mio lavoro di artista; l'amicizia, la certezza di poter contare sulla serietà di certe persone.

I momenti esaltanti? Quelli in cui vedevo che la materia trattata non era sorda a rispondere.

Quelli delle relazioni sul piano umano e professionale. Certi punti di arrivo, che poi erano solo tappe ad intenderli bene.

Le crisi e le delusioni? Quelle fanno parte del rischio della vita, degli errori di gioventù ai quali si sommano quelli dell'età matura.

Ercolano è la mia città e non rinuncerei alle sue radici perché sono per me irrinunciabili. Come la ritrovo ad ogni mio ritorno?

Questo è il punto dolente.

Non vorrei ripetere quello che tanti altri "emigranti" ercolanesi continuano a dire.

Una cosa è certa, malgrado la ristrutturazione delle facciate, quelle dell'architettura storica e quelle delle colate di cemento che hanno pervertito lo spirito della sacralità dello spazio naturale e archeologico, sussiste e si accentua un degrado violento che fa più smemorati tanti giovani, e meno socializzati tanti altri cittadini che sono chiusi nella corazza della propria professionalità e nell'isolamento del proprio egoismo.

Il problema resta nei termini di cultura e partecipazione.