Scuola Media Statale "Caduti di P.zza Loggia" CHEDI (BS)

"Un Artista tra i banchi di scuola"

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Cangiano, a buon diritto, può essere ritenuto un neo-simbolista. Nelle sue opere non vi è nessuna concessione al tratto meramente descrittivo o al moto dei sentimenti: la selva di simboli che compongono i suoi paesaggi pittorici esprimono la fisionomia del suo paesaggio interiore fatto ad un tempo di partecipazione e di severo distacco dallo “spirito del tempo” (Zeitgeìst direbbe un Heidegger). Questa aporia è solo apparente: Cangiano, quale figlio della sua Terra coglie e assume in sé, con la sensibilità dell'artista, la necrosi della decadenza che ha colpito quella parte d'Italia ma che diventa archetipo di una decadenza di più vasta portata. Da qui i simboli della morte; lo spirito maligno del pipistrello signore delle tenebre; l'alienazione delle identità carnali e il drappo tricolore o quello statunitense come sudario di una appartenenza più antica e in via di dissolvimento; il filo spinato e le gabbie ferree a rinchiudere l'autentica libertà dello spirito umano: quello dell'essere se stessi; le rovine civili cariche di memorie; le croci quali immagini del Verbo incompreso, ora custodito dagli epigoni della Philosophia perennis (emblematico, l'inserimento in una sua opera del libro di Renè Guenon, “Il Simbolismo della Croce”).

E alla chiarezza simbolica degli elementi compositivi, compendiata dalla nettezza cromatica, fa da contrappunto l'ambientazione solare di nitidi spazi celesti o la mole solenne della montagna vulcanica vesuviana, il “Monte Analogo” di Doumail (richiamo all'axis mundi o al mistero della caverna, pure presente in una sua opera?).

Il riferimento esplicito al mondo delle essenze come poli orientativo è la risposta dell'artista all'avanzata del nulla; sicché la sua impersonalità introduce un linguaggio evocativo in cui le essenziali figure simboliche, cesellate come ideogrammi, risultano irriducibile a qualsiasi logica discorsiva (altro che lo sciocchezzaio semantico tipo emittente-ricevente).

In tal senso la sua arte si distacca dai canoni contingenti ed individualistici della modernità per farsi arte universale ed intemporale. Egli, al pari dell'artista classico (tradizionale si dovrebbe dire in modo più appropriato; e poi: è corretto parlare di artista o non dovremmo parlare di iniziato con la grazia dell'arte?) è il mediatore, il ponte tra l'umano e il sovraumano, tra il mondo dell'immanenza e quello dei principi primi.

Laddove Cangiano dà spazio all'uomo in quanto individuo, lo raffigura con il volto celato e in vesti monacali: muto spettatore, presente in questo mondo, ma non di questo mondo. Non crediamo che sia azzardato, allora affiancare il frate di Cangiano (Cangiano stesso?) all'evoliano uomo in piedi tra le rovine, all'anarca jungheriano o alla figura del viandante nella foresta: ultime figure apollinee che attraversano un mondo pervaso da una ebrezza dionisiaca autodistruttiva.

 

Umberto Malafronte